Se i personaggi gonfiati di vita urbana di Giorgio Bartocci scrutavano il mondo con espressioni laser piene di ironia, oggi le sue figure si sono fatte più evanescenti, segni e ritmi, nella percezione che la vita non bisogna più affrontarla con tutto il corpo ma è divenuta un flusso: corpi virtuali che vivono una vita reale, smaterializzata dalla tecnologia ma pur sempre esistente. D’altronde l’invisibilità non è un concetto nuovo per un writer: anche quando si confronta con i muri di città, con la fisicità del cemento, il suo è un agire nell’ombra, nel buio, e poi sparire ma lasciando il segno.
I pittogrammi di Giorgio Bartocci sono un’evoluzione del graffitismo urbano, corrente già raggiunta dalla definizione di “post”, di un “dopo” perché escono da un ambiente settario per contaminarsi con il mondo. Come nei murales è l’arte a restituire un’anima alle città, ora i suoi muri e le altre opere pittoriche e tridimensionali dialogano con esse, fino ad assorbirle.
Trasparente è la società di oggi che si incontra in rete senza più stringersi la mano. Luoghi virtuali che già nel nome vogliono farci intendere come siano ordinati, un insieme di linee perpendicolari che si incontrano e che rendono la vita più organizzata più efficiente. “Fare rete” è il paradigma di oggi, la formula magica che ti permette di avere amici, lavorare, sopravvivere, comprare. Ma la realtà può essere diversa: il raggiungimento della verità sembra ancora più lontano che nel passato, all’artista il compito di portare alla luce quella realtà tentacolare che si allunga e si intreccia in forme non geometriche, non visibili.
Il concetto di rete infatti corrisponde a qualcosa di organizzato, mentre il mondo è caotico, non esiste una sola verità, ma le ragioni si sovrappongono, la realtà è stratificata e complessa, un gioco a nascondino in cui il divertimento non è più raggiungere l’obiettivo finale, cioè trovare quello nascosto meglio, ma il cammino di conoscenza che dà forma al percorso. Nell’arte urbana di Bartocci come nella vita i volti e le personalità sono aperte, in movimento, gli strati sovrapposti non nascondono ciò che c’è sotto, ma fanno trasparire una realtà multiforme, che si può guardare da più punti di vista e che è anche il risultato della fusione di più entità, come nella fisionomia della moderna società. Il primitivismo del suo segno è il raggiungimento di una sintesi nella complessità, non la rinuncia a qualcosa, ma l’aspirazione al semplice all’essenziale.
Così i segni dell’artista fluttuano nei suoni sperimentali di dj Fuco, un sound design da “il mito della caverna” che tra ambient, elettronica e drone propone brani che spaziano fra generi musicali di ogni epoca. Un’idea nata per cercare di abbattere quelle barriere di genere e gusto che spesso gli ascoltatori erigono, limitandosi all’ascolto di determinati generi musicali che già conoscono.
Annalisa Filonzi