Tema 2017: COMUNITÁ
SABATO 19 AGOSTO, SERRA DE' CONTI - dalle 19:30 alle 04:00

Parole Cunzate è un lavoro di natura relazionale che indaga il concetto di rottura e trauma attraverso una performance in cui lo spettatore è invitato a partecipare attivamente attraverso la rottura e la cunzatura di un piatto.
Tutta la comunità è invitata a partecipare attivamente al progetto sedendosi di fronte all’artista durante la performance.
"Il termine cunzare deriva dal dialetto pugliese e si riferisce all’antica arte di mettere a posto, sistemare e rammendare piatti ed oggetti rotti legati alla vita quotidiana. Cosa si è rotto? E' la domanda che pongo a tutte le persone che partecipano alla performance Parole Cunzate.
Ho deciso di riprendere l'antica tradizione della cunzatrice, colei che girava per i paesi che aggiustava/rattoppava/ricuciva piatti e oggetti casalinghi ormai rotti. La tecnica consisteva nella creazione di veri e propri buchi di sutura, sulla superfice del manufatto, tenuti insieme da un fil di ferro e una maltina.
Durante la performance all'aperto invito lo spettatore a sedersi di fronte a me e rompere un piatto. Ad ogni persona viene posta una domanda sulla rottura, la risposta quindi trascritta sul piatto poi cunzato e sistemato all’interno di un’istallazione circolare. Un lavoro sul trauma, su quelle crepe che ci attraversano e compongono la nostra storia e personalità."
L’arte diviene il collante di questa nuova comunità ricomposta.

Testi di ispirazione
La comunità inoperosa di Jean-Luc Nancy,
La comunità inconfessabile di Maurice Blanchot,
La comunità che viene di Giorgio Agamben
Communitas. Origine e destino della comunità di Roberto Esposito

Vivere la comunità vuol dire contaminarsi, lasciare tanto di sé per accogliere la diversità. La nostra educazione individualistica, che chiede al soggetto di affermarsi e disegnare il proprio io in opposizione all’altro, assume nel concetto di comunità un che di paradossale. Da qui deriva il disagio di cogliere nell’altro un nemico, uno specchio che ci fa vedere ciò che di diverso è anche dentro noi stessi, e ci fa paura, e dona inquietudine al nostro esistere quotidiano. Per riaffermare un concetto sereno di comunità bisogna tornare all’etimologia del nome, cum munus, scambiare doni per obbligo di ospitalità, cedere qualcosa di sé che non ci appartiene più, è diventato dell’altro, privilegiare le differenze, da mettere insieme, anziché gli aspetti comuni.
La riflessione sulla comunità è ciò che caratterizza la ricerca di Elena Bellantoni, già presente a Nottenera nel 2015 con la performance interattiva Parole passeggere, in cui la relazione con gli altri avveniva attraverso le storie personali, la memoria tramandata da parole scritte con macchine da scrivere, lette dai passanti, scambiate nella casualità.
In questa edizione due sono le occasioni di incontro con l’artista: nel Giardino Maiolatesi il rapporto di scambio reciproco si ripeterà per tutta la serata tra l’artista e un visitatore alla volta. Il punto di partenza della performance è l’errore, la rottura, da cui si può ripartire collaborando insieme alla ricucitura e alla realizzazione di un nuovo oggetto. Elena Bellantoni chiederà ad alcuni spettatori di partecipare, scrivendo su un piatto rotto insieme la risposta ad una domanda: che cosa si è rotto nella tua vita? Insieme ricuciranno l’oggetto per installarlo circolarmente nel giardino. L’azione Parole cunzate è ripresa dall’antica tradizione delle donne di Ostuni di girare di casa in casa ad aggiustare utensili rotti. Un invito alla collaborazione e alla speranza: anche dal trauma si può tornare a vivere sostenendosi a vicenda; la perfezione è nel cerchio, nell’unità, non nell’individuo.
Di ritorno alla vita parla anche il video Maremoto visibile sul muro accanto all’ingresso del giardino. Il mare è il liquido amniotico che rigenera e deve dare vita anche ad una nuova idea di comunità. L’altro che ci spaventa di più oggi viene dal mare, ha un colore della pelle diverso e ci parla di cose che non vogliamo sentire, di fame e di guerra. Per questo le parole ascoltate ci sembrano incomprensibili, ma in realtà il rumore delle onde ci porta una nuova lingua. Si fa fatica a modificare il nostro concetto di comunità, soprattutto se i mezzi a disposizione per raggiungerla non sono adeguati, ma la destinazione e l’origine si accomunano negli scopi e il movimento delle acque non è minaccioso: il mare deve tornare ad essere quell’opportunità di scambi e culture che era nell’antichità.

Testo critico: Annalisa Filonzi

Maremoto è un lavoro di natura performativa girato sulle coste siciliane. Alle prime luci dell'alba una donna cerca di cavalcare le onde del mare in sella ad una bicicletta, un tentativo impossibile di attraversare il Mediterraneo utilizzando un mezzo improbabile e poco affidabile. La donna trascinata via dalla forza dell'acqua si immerge fino a scomparire; dallo stesso punto emerge un uomo di colore che ripercorre a ritroso il percorso per approdare finalmente alla spiaggia e proseguire il suo viaggio in bicicletta. Un lavoro circolare in cui l'elemento dell'acqua, del mare, dell'attraversare racconta la storia di Ibrhaima, un ragazzo arrivato a Lampedusa dal Senegal, è la sua voce ad accompagnare il video in lingua Pulaar, il suo dialetto. I due personaggi sono vestiti uguali come se fossero un'unica persona, l'una ha bisogno dell'altra: nell'andare si trova il sè così come nel tornare, l'esperienza della migrazione appartiene ad entrambi. Il desiderio di quest'incontro avviene sul confine del mare, il viaggio diventa un tentativo di ricucire due sponde, due orizzonti, più culture. Il percorso verso l'altro diventa fluido, le barriere in mare non esistono, il Mediterraneo da sempre ha rappresentato una strada d'acqua percorsa da popolazioni che giungevano e ripartivano. Le azioni sono costituite da due unici piani sequenza che danno corpo alla reale fatica dell'attraversare. Non c'è traduzione linguistica ma mediante le immagini ed il suono della lingua si percepisce la storia di uno dei tanti migranti approdato sulle coste mediterranee.

Testi di ispirazione
La comunità inoperosa di Jean-Luc Nancy,
La comunità inconfessabile di Maurice Blanchot,
La comunità che viene di Giorgio Agamben
Communitas. Origine e destino della comunità di Roberto Esposito

Vivere la comunità vuol dire contaminarsi, lasciare tanto di sé per accogliere la diversità. La nostra educazione individualistica, che chiede al soggetto di affermarsi e disegnare il proprio io in opposizione all’altro, assume nel concetto di comunità un che di paradossale. Da qui deriva il disagio di cogliere nell’altro un nemico, uno specchio che ci fa vedere ciò che di diverso è anche dentro noi stessi, e ci fa paura, e dona inquietudine al nostro esistere quotidiano. Per riaffermare un concetto sereno di comunità bisogna tornare all’etimologia del nome, cum munus, scambiare doni per obbligo di ospitalità, cedere qualcosa di sé che non ci appartiene più, è diventato dell’altro, privilegiare le differenze, da mettere insieme, anziché gli aspetti comuni.
La riflessione sulla comunità è ciò che caratterizza la ricerca di Elena Bellantoni, già presente a Nottenera nel 2015 con la performance interattiva Parole passeggere, in cui la relazione con gli altri avveniva attraverso le storie personali, la memoria tramandata da parole scritte con macchine da scrivere, lette dai passanti, scambiate nella casualità.
In questa edizione due sono le occasioni di incontro con l’artista: nel Giardino Maiolatesi il rapporto di scambio reciproco si ripeterà per tutta la serata tra l’artista e un visitatore alla volta. Il punto di partenza della performance è l’errore, la rottura, da cui si può ripartire collaborando insieme alla ricucitura e alla realizzazione di un nuovo oggetto. Elena Bellantoni chiederà ad alcuni spettatori di partecipare, scrivendo su un piatto rotto insieme la risposta ad una domanda: che cosa si è rotto nella tua vita? Insieme ricuciranno l’oggetto per installarlo circolarmente nel giardino. L’azione Parole cunzate è ripresa dall’antica tradizione delle donne di Ostuni di girare di casa in casa ad aggiustare utensili rotti. Un invito alla collaborazione e alla speranza: anche dal trauma si può tornare a vivere sostenendosi a vicenda; la perfezione è nel cerchio, nell’unità, non nell’individuo.
Di ritorno alla vita parla anche il video Maremoto visibile sul muro accanto all’ingresso del giardino. Il mare è il liquido amniotico che rigenera e deve dare vita anche ad una nuova idea di comunità. L’altro che ci spaventa di più oggi viene dal mare, ha un colore della pelle diverso e ci parla di cose che non vogliamo sentire, di fame e di guerra. Per questo le parole ascoltate ci sembrano incomprensibili, ma in realtà il rumore delle onde ci porta una nuova lingua. Si fa fatica a modificare il nostro concetto di comunità, soprattutto se i mezzi a disposizione per raggiungerla non sono adeguati, ma la destinazione e l’origine si accomunano negli scopi e il movimento delle acque non è minaccioso: il mare deve tornare ad essere quell’opportunità di scambi e culture che era nell’antichità.

Testo critico: Annalisa Filonzi

Una grande carta al centro della chiesa. Il collage e assemblaggio come pratica vitale d'innesto. Un piccolo frullato di vita di Deriva. Frammenti e pezzi sparsi del mondo si uniscono sotto la direzione di un "bambino" che mentre gioca crea e distrugge senza sosta.

Nei secoli, ben prima dell’arrivo dalla fotografia e delle moderne tecniche di rappresentazione, pennello e pigmento hanno avuto il compito di campionare luoghi e bloccare azioni, sfidando il tempo e il suo inevitabile scorrere. Ma nonostante questa capacità, la pittura ha dimostrato che la sua più congeniale attitudine è quella di poter andar oltre il visibile, al di là della retina e giù nella profonda intimità umana. La pittura è sopravvissuta ai mezzi meccanici che ne avevano preannunciato la morte grazie a questo suo scarto di soggettività, al suo farsi evidenza dell’inafferrabile e alla sua felice inclinazione alla fuga.

Lontana dall’essere una statica registrazione del reale, la pittura di Denis Riva (Deriva) sembra brulicare, strisciare, esplodere. C’è fermento tra le sue forme e vita nei suoi colori. Nella ricerca di un contatto epidermico e profondo con il mondo, Deriva esplora, osserva, si immerge e con partecipazione fisica e emotiva entra nei cicli e negli accadimenti della natura. Il mondo dipinto da Deriva è un cuore vivo che batte, che sembra aver più bisogno di essere ascoltato che contemplato.

Reunion è il progetto espositivo che l’artista propone per Nottenera: una mostra che si divide nei due ambienti della Chiesa di Santa Croce, oggi sconsacrata, in cui sono installati due trittici di opere su carta. Reunion è la ricongiunzione di porzioni dello stesso mondo percepite sempre troppo distanti, di frammenti isolati e solitari che nell’incontro si scoprono simili, simbiotici.

In questo spazio legato significativamente al sacro, l’opera di Deriva sembra un omaggio laico al creato e alla ritrovata appartenenza ad un insieme a cui noi abbiamo dimenticato di appartenere.

Cardine della mostra è 10000, la grande carta esposta di fronte all’altare maggiore, in cui una gigantesca figura umana cerca di farsi largo, senza violenza, tra piante in germinazione, figure di mammiferi e un impetuoso stormo di uccelli. Tra queste presenze vivaci, l’uomo sembra aver trovato qualcosa che forse non andava neanche cercando: la consapevolezza di un fare umano che nei secoli ci ha diviso dal naturale, distanziati da uno scorrere in comunione con il mondo. Intanto, dalla mano dell’uomo divampa un fuoco, magico, quasi a ricordarci che il nostro potere è già lì, sulle nostre mani. Piccoli gesti, azioni meditate e la ri-unione con il tutto può tornare ad essere reale. L’importante è prenderne atto e credere in questa ritrovata unità, nel nostro ruolo in questa macchina perfetta. Basterebbe avere fede in un creato che non è un dogma, che non è solo cosa divina.

Testo critico: Michele Gentili

È una particolare qualità ricettiva quella che connota le ceramiche di Marta Palmieri: nelle forme, cavità originarie come gusci, e nella materia, che porta segnata addosso la memoria. Affiora un sapere antico e un sincretismo di culture anche distanti nel suo plasticare sobrio, spogliato di ogni compiacimento decorativo, primitivo e pure sorprendentemente attuale....

Viviamo in un’epoca in cui il tempo sembra sopraffarci, in cui il ritmo della macchina sembra aver sostituito il nostro ritmo biologico. Corriamo e non ci fermiamo. Mordiamo e fuggiamo. Pretendiamo risposte a tante domande, pigramente senza ricercare. Vogliamo tutto e subito e non sappiamo più attendere.
Tra le tante vite che si dimenano tra frenetici gesti e un tumulto di pensieri quotidiani, c’è qualcuno che sceglie di rallentare, adottando un altro ritmo, adagiandosi su un altro tempo.
Nel suo percorso di vita Marta Palmieri ha scelto di far suo un mestiere antico, fatto di incredibile perizia tecnica adoperata per una ricerca formale che sappia sfidare il tempo. Scegliendo di lavorare la ceramica ha accolto un modo di operare lento, rispettoso dei tempi della vita, della materia e quindi della terra. Questo è quanto di più contemporaneo possiamo trovare nella sua ricerca artistica, perché se c’è qualcosa che oggi il mondo occidentale deve aver pur imparato è che non è mai saggio andare contro natura. E se la natura chiede tempo, è giusto concederglielo. Concedercelo.
In occasione di Nottenera, Marta Palmieri propone al pubblico due opere molto diverse che ben rappresentano gli ultimi anni della sua produzione artistica.
La prima, 5 dischi? è un’installazione composta da forme di argilla circolari appese a fili di nylon quasi impercettibili. Immersi nel buio, questi dischi di argilla finemente lavorata appaiono leggerissimi come se la terra avesse perso all’improvviso tutto il suo peso. Queste forme circolari, chiare come la luce che le illumina, librano in aria generando stupore negli occhi di chi le guarda.
Nell’altra stanza, come un prezioso gioiello forgiato con un impasto di argilla e polvere di ferro, brilla la piccola scultura Panthalassa. Grazie alla sua superficie blu cobalto, lucida e cangiante, possiamo ritrovare in essa un frammento della grandezza dell’oceano.
Le opere qui proposte sono un invito alla meraviglia, una spinta a lasciare per un momento il nostro tempo, concedendoci la vertigine del volo e un tuffo nella profondità del mare.

Testo critico: Michele Gentili

L’arte urbana è un’arte di comunità perché si fa insieme alla gente. Respira la strada e ne restituisce gli stimoli attraversando le poetiche degli artisti. Ma dipingere in strada è soprattutto una responsabilità. Non si può parlare solo di se stessi, il discorso deve farsi universale.
Da sempre Gio Pistone assorbe i colori delle città inondandole di sensazioni positive con la sua pittura di grandi dimensioni, l’anonimato le permette un dialogo diretto con gli altri, conservando quel po’ di mistero che rende l’arte sempre eterna e attuale.
E un po’ misteriose sono le sue grandi figure, “mostri” come lei le chiama, ma nel senso originario di monstrum, segno divino, prodigio: epifanie dilatate agli angoli di strada che sollecitano le più disparate fantasie. Un gioco iniziato da bambina, che da disegnatrice di sogni l’ha fatta diventare oggi grande con il mestiere di inventrice di immagini senza confini.
Nelle opere realizzate a Nottenera durante la residenza d’artista, Gio Pistone ripropone la mostruosità nella sua forma non minacciosa: se solitamente il mostro è il diverso che fa paura, nella festa di forme e di colori dell’artista troviamo al contrario la diversità che incuriosisce e attrae, perché anche nelle comunità di persone nessuno è uguale all’altro. In questo caso, però, il pensiero si sofferma su tutto ciò che è casualmente gruppo: tutte quelle comunità che sono tali non per scelta ma per costrizione: eserciti, classi, gruppi di lavoro. Le figure immaginate allora diventano soldati: antieroi di carta velina, militanti di una guerra tra uguali, che al primo sguardo svelano la loro fragilità, la non convinzione alla battaglia quotidiana di difesa della propria identità, la voglia ironica, gioiosa e disubbidiente di far festa anche quando il mondo li vorrebbe costringere all’omologazione e alla tragedia.

Testo critico: Annalisa Filonzi

I Quadritos, altari pagani in memoria di persone di varie epoche e dalle storie più disparate. Un tentativo di riportare alla memoria accadimenti a volte molto lontani nel tempo, a volte più recenti, dove le storie evocate, più delle stesse biografie, assurgono a oggetto di riflessione. Ogni Quadrito è un pezzo unico fatto a mano, al centro del quale, in un contorno di stoffe colorate, fiori e ornamenti dal sapore centroamericano, è posta una foto del personaggio, sempre accompagnata da uno o più oggetti in miniatura che ricordano la storia o una delle storie della sua esistenza. Troverete volti noti del mondo della cultura e dell’arte, esponenti di movimenti rivoluzionari e lotte sociali, inventori, calzolai, sportivi e matematici... Alcuni li riconoscerete, altri li scoprirete, ma ogni storia merita di essere raccontata e tramandata. Oltre 200 personaggi per altrettante storie, perché la loro anima viaggia lenta, ma viaggia ancora...

SYNOLON è l'insieme, l'intero, ciò che unisce forma e materia. Canapa e cera d'api saranno gli elementi essenziali utilizzati per questo progetto installativo. Synolon dialogherà con uno spazio di silenzio. Nascerà una scultura organica tessuta a strati, modulare ma non uniforme, un’esperienza sensoriale da vivere in profondità.

Synolon è il tutto, l’intero. È il termine aristotelico che denota una sintesi fra forma e sostanza. Desunto da questo concetto, Synolon è anche il titolo dell’intervento che l’artista Valerio Giacone propone per Nottenera, una scultura che si erge luminosa al centro di una stanza buia e che riproduce simbolicamente un grosso favo dove ogni cella, realizzata con canapa e cera vergine, si affianca all’altra.
La scultura di Valerio è quindi una casa, un luogo che dona identità e che fornisce protezione. Ogni cella è una stanza riparata, una culla che ospita uova che diventeranno poi larve, e poi ancora api: frammenti tutti uguali e tutti diversi di un unico gruppo sociale.
Nella forma dell’alveare l’artista ritrova il suo “intero”. Questa stupefacente architettura naturale è infatti il simbolo del lavoro e della vita di una comunità perfetta, dove ogni singola parte di essa svolge il proprio ruolo, sempre in relazione con l’altro. Qualsiasi azione individuale diviene così parte di qualcosa di più grande, un progetto di vita collettiva.
Questo stesso senso di unità trova eco anche nel materiale di cui la scultura è composta: la cera, sintesi di forma e sostanza, della concezione artistica e della sua realizzazione. È la cera, materiale duttile e mutabile per eccellenza, che muove l’idea ed è attraverso di essa che l’intuizione artistica si cristallizza divenendo così visibile ai nostri occhi.
Lontano dalla precisione geometrica e istintiva della natura, quello di Valerio Giacone è un alveare umano, imperfetto e variabile nelle dimensioni. In Synolon le singole celle assumono perimetri e altezze differenti ma rimane esagonale la forma del suo massimo sviluppo. Dalla fragilità del punto di contatto tra bolle di sapone alla solidità del guscio di una testuggine, l’esagono è una forma geometrica che favorisce stabilità e che risulta poco dispendiosa in termini di spazio ed energia, qualità che fanno di essa una delle più comuni in natura.
Il forte odore di cera che accoglie il pubblico entrando in sala, le qualità tattili dei materiali di cui è composta e la sua presenza luminosa fanno di Synolon un’esperienza sensoriale oltre che visiva, dove chi partecipa è invitato a toccare, odorare, esperire la scultura in prossimità, senza nessun distacco fisico ed emotivo. Lo spettatore potrà così sentirsi come una piccola ape operaia e percepire anch’esso la possibilità di avere un proprio posto nel mondo.

Testo critico: Michele Gentili

Breve viaggio tra pittura e scultura, omaggio simbolico all’enorme, pregiata produzione artistica di Mirko Basaldella (Udine 1910-Cambridge 1969) Tempera su cartone, donazione della Famiglia Vera e Raffaello Zarinski al Comune di Serra de’ Conti.
“Le forme acquistano un significato nato dal sentimento speciale che evocano le forme stesse…” (Ragghianti, storico dell’arte).
Celebrato come scultore, e citato come tale nei testi di storia dell’arte, Mirko Basaldella era in realtà un abilissimo disegnatore.
Seppe spingersi dai modi formalmente espressionistici alle situazioni primordiali, interpretando il mito arcaico nel senso di capovolgerlo rispetto ad ogni idea di accademismo, quindi con connotazioni anticlassiciste.
Il Novecento italiano deve molto a questo artista, insigne esempio non solo di eccezionali qualità tecnico-stilistiche, ma anche di una vitalità intelligente, sensibile, piena di attenzioni verso la società contemporanea e i suoi problemi.

Due operai in legno della ditta Befera trasportano una archipittura murale su legno ai confini della realtà. Affaticati dal cammino e dal peso, fanno pausa in via Armellini sul muro laterale dell’Ospedale Civile.

Nottenera annuncia una nuova e importante collaborazione, quella con theGIFER, il primo progetto internazionale dedicato alla gif art, fenomeno artistico esploso in questi ultimi anni e capace di raccogliere intorno a sé una comunità sempre più vasta di artisti e creativi, fino a raggiungere oggi una dimensione globale.

Il film presenta le gif selezionate per la prima edizione del festival theGIFER: un caleidoscopio di immagini in movimento che spaziano tra i generi astratto, psichedelico, mixed media, fotografia, illustrazione e computer graphic, a raccontare la ricchezza e molteplicità di un fenomeno artistico che ha ormai raggiunto una dimensione globale, ponendosi come una vera e propria avanguardia artistica originale dei nostri anni. Il film è stato presentato in occasione della premiazione della prima edizione presso il Cinema Massimo – Museo Nazionale del Cinema di Torino.

Con i lavori di:
A-na5, Adam Van Winden, Alshatti Kenaim, Amorgianou Myrto Ancic Marija, Anderson Erica, Asu Ceren, Aupetit Harmonie, Autret Claude, Barra Domenico, Barreto Daniel, Batuhan Perker, Bennett David, Bertoldi Gualtiero, Blake Kathryn, Blake T. Brady,Boardman Al, Boglio, Carlier Philippe, Čerić Josip Amadeus, Crego A. L., Dax Norman, Domonkos Bill, Doval Victor, Eloy Lannoó, Emiliano Bossi, Emiliano Zucchini, felipevillarreal, Fiorito Vincenzo, Florens Debora Patricia, Gabriel Estoban Molina aka gabrielmolina, Gannis Carla, Gastaldi Nicola, Giorgio Deponti, grossgaians, Helmcke Aline, Herr Jerome, hexeosis, Hey Pantarei, Jacob Menden, Jacobson Matt, James Kerr, Jauntai Michael, Jeremy Cornette, Johnson Josh Ethan, Julien Piau, Kuznetsova Polina, Lefaure Eric, Lo Schiavo Giuseppe, Maniello Donato, Marija Ancic, Mario M. Martinez, Martínez Jaime, McCampbell Ross, McKeehen Jeremy,Megan Mert Keskin, Michael Sohler, Monterrat Nicolas, Morris Ewan Jones, Morris Tom, nickvdg, Nicolas Matelot, noalbinonono, Obarski Kajetan, Oddo Mikel, Ollson Martin, Ori Toor, Palamenghi Alice, Paulito Nino, Pizurny Adam, Plews Mike, Qieer Wang, Rafael Santiandreu, Raff Colin, Rodenbröker Tim, Rothe Tobias, Rotkin Dmitry, Ruiz Daiana, Rut Sebastian, Schmidt Thomas, Shane Beam, Shevyakov Kirill, Ślaski Maciej, Smirny Andrey, Söderberg Erik, Spyrogif, Tavis Bill, The Workroom, theilefoti, Tiff McGinnis, Timmons Chris, Toninho, Vallan Anundson, Vayssouze-Faure Frédéric, Visconti Sabato, Ward James, Winston Duke, Winter Richard, Wunderle Lorenz, Yuriy Miron, Zanoni James, Zucker Sarah.